I can’t breathe

da Giu 22, 2020News

George Floyd by Davide Pistarino - Diritto
di Davide Pistarino

I video del drammatico arresto di George Floyd, afroamericano di 46 anni che è stato brutalmente ucciso da un poliziotto a Minneapolis negli Stati uniti, sono, come si dice, diventati “virali”, in
questo periodo che di virus ha fatto purtroppo una certa esperienza.

La morte dell’uomo sta giustamente creando una grande indignazione nella comunità afroamericana e non solo.

Negli Stati Uniti in questi giorni ci sono state molte manifestazioni antirazziste.
Come purtroppo sappiamo, negli Stati uniti il razzismo nei confronti degli afroamericani è un problema che perdura da secoli, fin dai tempi dello schiavismo, che sarà poi abolito da Abramo Lincoln nel 1865.

Purtroppo la fine del razzismo legale non ha risolto il problema. Nel corso del tempo il tema è stato affrontato con costanza. Attivisti come Martin Luther King e Malcom X hanno perso la vita
nel corso delle loro battaglie e la polemica antirazzista fu uno dei punti cardine delle manifestazioni per i diritti civili del 1968.

La lotta contemporanea degli afroamericani incomincia quando l’afroamericana Rosa Parks si
ribella e rifiuta l’obbligo di cedere il proprio posto su un bus a un passeggero bianco. Era il 1955.

Gli anni 60 furono fondamentali per le lotte per i diritti civili degli afroamericani. Il governo Kennedy mise tra i suoi obiettivi primari l’ottenimento di tali diritti. Particolarmente attivo fu il Ministro della Giustizia Robert Kennedy, fratello del presidente John Fitzgerald Kennedy. Peraltro, i ricordati Martin Luther King e Malcom X, erano rivali. Martin Luther King era un pastore protestante, mentre Malcom X era di fede islamica. Nonostante entrambi lottassero per i diritti civili, intendevano la lotta in termini molto diversi, mentre Martin Luther King era un moderato e voleva trattare con i bianchi e soprattutto con il governo Kennedy, Malcom X era decisamente più
estremista e propenso a uno scontro frontale. Purtroppo furono accomunati da un destino che li vide entrambi tragicamente uccisi.

La fertile cultura del tempo affrontò con impegno il tema dei diritti degli afroamericani. Tra gli esponenti più significativi il cantante Robert Zimmerman, meglio noto come Bob Dylan, recente premio Nobel per la letteratura, che ha inciso due canzoni rimaste nella storia del movimento.

La prima, più recente, è “Hurricane”, basata sulla storia vera di un pugile afroamericano ingiustamente incarcerato per un omicidio che non aveva commesso.

A questa storia è stato dedicato anche un film, “Hurricane”, con Denzel Washington. Un altro suo pezzo significativo, oggi dimenticato, si intitola “ The death of Emmett Till ”. E’ ispirato alla vera storia di Emmett Till, un ragazzo nero di 14 anni, che nell’estate del 1955 si trovava in vacanza a Money, nello stato del Mississippi, con suo cugino. Uscendo da un locale, Emmett rivolse un saluto confidenziale, ma non offensivo, a una donna che incrociò sulla sua strada. Qualche giorno dopo, il marito della donna, venuto a sapere dell’accaduto, insieme ad un suo amico rapì e linciò Till, che venne poi trovato in un fiume con una corda al collo legata a un masso. Un caso esemplare della mentalità ancora
presente in certe aree degli Stati Uniti, soprattutto nel sud ex schiavista.
La vicenda di George Floyd fa pensare che forse gli Stati Uniti, nel 2008, si sono illusi di aver risolto il problema del razzismo verso gli afroamericani con l’elezione di Barack Obama a presidente.

La vicenda di George Floyd dimostra che non è così. E’ importante notare che il poliziotto che ha soffocato Floyd non era nuovo a fatti del genere, e che comportamenti simili non sono rari da parte di alcuni elementi della polizia statunitense.

I manifestanti che stanno scendendo in piazza in questi giorni hanno le loro ragioni.

Il punto fondamentale che probabilmente dobbiamo analizzare , è il fatto che l’elezione di Barack Obama, è stato un fatto importantissimo ma puramente politico, nel senso che ha dimostrato che negli Stati Uniti non ci sono più leggi contro gli afroamericani ma non ha risolto il problema sociale, che persiste nella vita di tutti i giorni tra le persone.

Noam Chomsky, linguista, filosofo e attivista politico, ha dichiarato proprio in questi giorni che il problema della discriminazione verso i neri persiste da ormai 400 anni, cioè dai tempi dello
schiavismo, che ha fornito le basi per la crescita economica dell’imperialismo.
Gli Stati Uniti sono un paese pieno di contraddizioni sociali, basti pensare alla reazione violenta e quasi insurrezionale dei suprematisti bianchi contro i provvedimenti di lockdown per la pandemia.

Tutto porta purtroppo a pensare che la vicenda di George Floyd, diventata così visibile solo grazie all’uso ormai diffusussimo degli smart phone, non chiuderà la storia dell’intolleranza razziale negli Stati Uniti. Nel 2014, il giovane afroamericano Eric Garner fu anche lui ucciso dalla polizia durante
un controllo. Ne nacquero manifestazioni molto simili, che purtroppo non hanno impedito il ripertersi di situazioni analoghe.

Bisogna ricordare con coerenza che il razzismo non è solamente un fenomeno della cultura statunitense, è un fenomeno culturale umano e come tale va affrontato e combattuto.

La storia si ripete, di Emmett Till ce ne sono stati tanti e se la sua figura è diventata un’icona del movimento per i diritti civili lo si deve alla canzone di Bob Dylan, segno che la cultura può agire
incisivamente sulla realtà. La morte di George Floyd non dovrebbe diventare un episodio di
cronaca destinato all’oblio ma bensì un punto di partenza per una svolta nei rapporti umani di
un’intera società.​