Regeni e le armi

Il dolore della famiglia Regeni è quello dei genitori che hanno perso un figlio e la loro incessante ricerca della verità su quanto è successo è una battaglia giustissima, non solo per loro ma per tutti coloro che hanno subito delle ingiustizie e dei dolori così grandi, nonché per tutti coloro che hanno a cuore una società che protegge se stessa da violenze, torture e omicidi, soprattutto se commessi da parte di persone che operano con una divisa statale.
E’ la stessa battaglia che hanno vinto la sorella di Stefano Cucchi o la mamma di Peppino Impastato.
E’ una battaglia che può evitare altre sofferenze, pima di tutto quelle di Patrick Zaki, incarcerato per il suo impegno a favore dei diritti delle minoranze oppresse nel suo paese e della comunità Lgbt e per la sua collaborazione con l’Ong Iniziativa egiziana per i diritti della persona.
Nello stesso tempo, il fatto che il nostro paese sia uno dei più importanti esportatori di armi al mondo e che da questo ne tragga beneficio economico è in aperta contraddizione con la solenne affermazione costituzionale per cui l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali ed è motivo di vergogna e di scandalo per tutti coloro che vogliono costruire un mondo meno bellicoso e pericoloso.
Sono però due temi distinti che impropriamente in questi giorni sono stati accostati per effetto della vendita di una grande commessa di armi italiane all’Egitto; infatti si confondono i due obiettivi, ricostruire i fatti e punire i responsabili / bloccare la vendita di armi, generando contraddizioni e confusione.
Infatti, il Governo italiano tramite la propria diplomazia può chiedere al Governo egiziano di ricercare insieme la verità su quanto è accaduto e punire i responsabili, così come ha fatto, ma – nel momento in cui i risultati non siano soddisfacenti – siamo sicuri che la strada delle minacce, delle ritorsioni, delle “sanzioni”, sarebbe una soluzione giustificata, praticabile ed efficace?
D’altra parte se il governo egiziano avesse consegnato i carnefici alla giustizia, la vendita di armi non rappresenterebbe un problema?
Aveva ragione Alberto Sordi, in “Finchè c’è guerra c’è speranza” …!